sabato 5 aprile 2014

Recensione: "La ragazza che hai lasciato" di Jojo Moyes





St. Pèronne, Ottobre 1916



"Stavo sognando il cibo.
Baguette croccanti, con la mollica di un bianco immacolato,
ancora calde di forno, e formaggio stagionato.
Uva e susine impilate nei portafrutta, scure e fragranti,
che riempivano l'aria con il loro profumo.
Stavo allungando una mano per prendere un frutto quando mia sorella mi fermò.
-Vattene- mormorai. -Ho fame-.
-Sophie, svegliati-. (...)
I piatti spariscono, gli odori svaniscono.
-Sophie.-
-Che c'è?-
-Hanno preso Aurèlien!- (...)
A poco a poco, ritrovai la lucidità. (...)
Barcollando, mi avvicinai alla finestra in punta di piedi e guardai giù in cortile. 
Vidi i soldati illuminati dai fari della loro camionetta 
e mio fratello minore che si proteggeva la testa con le braccia 
cercando di scansare i colpi che gli venivano inferti con il calcio dei fucili.(...)
Il nuovo Kommandant stava guardando le nostre finestre con aria pensosa,
forse riflettendo sul fatto che la nostra casa
avrebbe potuto fornire un alloggio più adatto ai suoi uomini.
Probabilmente pensava che, data l'ottima posizione, 
il nostro albergo potesse essere un buon punto di osservazione sulla città.
C'erano stalle per i cavalli e dieci camere da letto,
dai tempi in cui Le Coq Rouge era l'albergo più fiorente della città. (...)
-Per l'amor di Dio, che cosa sta succedendo qui?- La mia voce risuonò nel cortile. (...)
-Lei è?-
-Madame Lefèvre.- (...)
-Madame, una fonte attendibile ci ha riferito che nei vostri locali tenete nascosto un maiale.
Sarà al corrente che, secondo le direttive vigenti, 
la pena per aver sottratto bestiame alle autorità è la reclusione.- (...)
Lo sguardo che mi rivolse era impenetrabile. Girò sui tacchi e si diresse verso la porta di casa.
-Ci guardi, Kommandant.
Abbiamo l'aspetto di gente che si concede banchetti a base di manzo, 
agnello arrosto o filetto di maiale?-
Lui si voltò e i suoi occhi guizzarono sui mie polsi ossuti. (...)
-Noi viviamo di ciò che le autorità tedesche ritengono sia una buona dieta:
razioni di carne e di farina sempre più misere.-
Attraverso la finestra vidi mia sorella che tamponava le ferite di Aurèlien con la gonna
 nel tentativo di fermare il sangue.
Tre soldati tedeschi incombevano su di loro. (...)
-Cos'è questo?-
-Che cosa?-
Il Kommandant sollevò la lampada e una pallida luce dorata illuminò qualcosa sulla parete:
il ritratto che Edouard aveva dipinto per me quando eravamo appena sposati. 
Eccomi là, nel primo anno di matrimonio, con i capelli folti e lucidi che ricadevano sulle spalle,
la pelle chiara e luminosa e lo sguardo sicuro di chi sa di essere adorato.
Avevo tolto il quadro dal suo nascondiglio parecchie settimane prima,
dicendo a mia sorella che per niente al mondo avrei tollerato che fossero i tedeschi 
a decidere che cosa dovevo guardare in casa mia. (...)
Quando finalmente il Kommandant si rivolse a me,
fu come se fosse stato costretto a staccare gli occhi da quell'immagine.
-L'ha dipinto mio marito.- (...)
Osservò il dipinto ancora un istante, poi abbassò lo sguardo.
-Penso che ci siamo capiti, Madame. 
La nostra conversazione non è finita, ma per stasera toglierò il disturbo.-"






Londra 2010

"Liv vede la sua casa molto prima di arrivarci:
le pareti di vetro azzurrine spiccano sopra l'ex zuccherificio. (...)
A David piaceva. 
Gli piaceva il contrasto che creava contro i mattoni marrone scuro dei magazzini vittoriani,
il modo in cui catturava la luce o riverberava il riflesso dell'acqua. (...)
Quando aveva progettato la casa, circa dieci anni prima, 
aveva scelto il vetro come materiale di elezione. (...)
Non esisteva una costruzione simile in tutta Londra.
-Però, forte! Che figata!-
Escono dall'ascensore traballante ed entrano nella Glass House.
Mo ha un'espressione insolitamente vivace.
-Questa è casa tua? Davvero? Come diavolo sei finita a vivere in un posto come questo?-
-L'ha costruita mio marito.-
-Il tuo ex? Caspita. E te l'ha lasciata?-
-Non esattamente. E' morto.- (...)
Dare spiegazioni non diventa più semplice man mano che passa il tempo.
A distanza di quattro anni, quelle parole le provocano ancora una fitta di dolore,
come se l'assenza di David fosse una ferita scavata nel profondo dentro di lei. (...)
Liv pulisce il piano di lavoro in granito e lo lucida con un panno morbido.
Alla fine attraversa l'ingresso di vetro e va in camera da letto
salendo una scala sospesa di legno e perspex.
In mezzo alla stanza c'è un letto grande e vuoto,
con due solleciti di pagamento sulla coperta, dove li ha lasciati quella mattina.
Si siede e li piega con cura infilandoli di nuovo nella busta,
poi fissa dritto davanti a sè il ritratto della Ragazza che hai lasciato
vivido nella sua cornice dorata tra le tonalità grigie e avorio del resto della stanza,
e si abbandona.
'Ti somiglia'
'Non mi somiglia per niente'
Gli aveva riso in faccia, spensierata, ancora traboccante del suo nuovo amore.
'Hai esattamente quell'espressione quando...'
La ragazza del dipinto sorride.
Liv inizia a spogliarsi. (...)
Chiude gli occhi prima di spegnere la luce, per non vedere più il ritratto."


Sophie e Liv, due donne così lontante eppure unite da un dolore comune: quello di aver perso l'amore del proprio marito. Entrambe forti e coraggiose, pronte a sfidare le difficoltà a testa alta, contro i pregiudizi della gente, cercando nel loro piccolo di mantenere accesa la fiamma della speranza: Sophie quella di poter riabbracciare presto il suo amore che la guerra ha chiamato a combattere e Liv quella di guardare al fututo, accettando un passato che purtroppo con la morte del suo adorato marito non potrà più tornare. Un secolo le divide, ma per uno strano caso del destino, un quadro, lo stesso meraviglioso dipinto, cambierà loro la vita, dando a entrambe una seconda possibilità...


Il mio commento

"La ragazza che hai lasciato", seguito del romanzo breve introduttivo "Luna di miele a Parigi", è un libro intenso, intenso per la ricchezza delle emozioni che accompagnano la storia di Sophie, -che rivive attraverso quella altrettanto travagliata di Liv-, e intenso per i personaggi così ben costruiti da sembrare 'reali'. Due racconti che partono -come per il primo libro- in maniera distinta, e che inizialmente portano il lettore a domandarsi quale sarà il filo conduttore che legherà le due protagoniste.
Ovviamente chi ha letto "Luna di miele a Parigi", -prequel del romanzo-, sarà avantaggiato sulla storia, essendo già a conoscenza di alcuni particolari che si riveleranno di vitale importanza per l'evolversi del romanzo in sè, ma che la Moyes sarà comunque in grado di collegare egregiamente, in maniera velata, senza rivelare ogni cosa in modo scontato. Ogni tessera di questo meraviglioso, quanto drammatico puzzle, si incastrerà perfettamente, componendo un capolavoro, quando finalmente nell'epiologo ogni particolare sarà svelato al lettore.
Scenari drammatici di guerra, di miseria e povertà materiale, ma di grande ricchezza spirituale che anima gli abitanti di San Pèronne e di tutta la Francia presa sotto assedio dai soldati tedeschi nella Prima Guerra Mondiale. Dolorosi aneddoti di morte e stenti per giovani donne e per i loro figli, che si ammalano sotto i loro occhi impotenti, mentre padri, mariti e fratelli lottano al fronte per difendere la Patria e la loro stessa vita, spinti dal desiderio di tornare presto dai loro cari e da quella che sperano di trovare ancora come loro casa.
Uno stile narrativo splendido, bellissimo nella semplicità descrittiva con cui l'autrice ci permette di entrare nella storia, condividendo con il lettore il suo mondo, il mondo di Sophie e di Liv.
Nonostante io non ami particolarmente i cosidetti romanzi 'storici', questo libro non può non catturare la mente e il cuore di chi rivive giorno per giorno, pagina dopo pagina, le gioie e i dolori di queste due grandi donne. Un libro che mi sento di consigliare a tutti! Buona lettura...



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